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Il Blog dello Studio
Notizie e approfondimenti

Autore: Avv. Ezio Onori 15 apr, 2020
L’art. 2110 c.c. tutela la malattia del lavoratore prevedendo un periodo di conservazione del posto in cui vige per il datore di lavoro il divieto di licenziamento. Tale periodo è meglio noto come periodo di comporto ed è regolato dalla legge e dai CCNL di settore. Infatti se è pur vero che a malattia di per sé crea intralcio all’organizzazione e all’attività dell’imprenditore, si è stabilito che le tutele della salute del lavoratore siano prevalenti rispetto le esigenze della produzione. Tuttavia, secondo l'orientamento del Tribunale di Milano (Trib. Milano 15/12/2015 n. 3426 e Trib. Milano 19/01/2015 n. 1341), avvalorato anche da un precedente della Cassazione (Cass. 18678/2014), le assenze del lavoratore, anche se incolpevoli e senza superare il periodo di comporto, possono legittimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora, per le modalità con cui si realizzano, sono tali da incidere negativamente sull’attività produttiva, sull’organizzazione del lavoro e sul regolare funzionamento dell’impresa. Si tratta dell’ipotesi della cosiddetta ”eccessiva morbilità” che secondo il tradizionale orientamento non poteva dar luogo a licenziamento in quanto in questi casi doveva trovare applicazione unicamente l’art. 2110 c.c., con la conseguenza che il datore di lavoro non poteva recedere dal rapporto prima del superamento del periodo di comporto. Ora invece sia la Suprema Corte che la giurisprudenza di merito ritiene possibile, in caso di eccessiva morbilità, irrogare il licenziamento anche prima del superamento del comporto, se le modalità con cui le assenze si verificano (assenze a macchia di leopardo, brevi e reiterate, spesso agganciate a giorni di riposo festività o comunicate all’ultimo momento) danno luogo ad una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per la società, risultando la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale. Ricordo che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 L. 604/1966 può essere intimato per fatti relativi all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Tali fatti possono riguardare, fra le varie ipotesi, anche fatti attinenti alla sfera del lavoratore purché rilevanti sul contesto aziendale. L’art. 2110 c.c impone infatti al datore di lavoro un sacrificio ordinario per via della malattia. Ma nel caso di reiterate assenze, irregolari e a scacchiera, il sacrificio organizzativo imposto al datore di lavoro sarebbe eccezionale e straordinario, per cui le assenze così nocive non ricadrebbero nella finalità di protezione prevista dall’art. 2110 c.c.. In questi casi il lavoratore è licenziabile anche quando non abbia superato il periodo di comporto.
Autore: Avv. Paola Marchionni 15 apr, 2020
Perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, occorre che risulti, nei confronti di uno dei due genitori, una sua propria condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (come nel caso, ad esempio, di un’obiettiva lontananza del genitore dal figlio o di un suo sostanziale disinteresse per le complessive esigenze di cura, di istruzione e di educazione del minore), con la conseguenza che l’esclusione della modalità dell’affidamento condiviso dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all’interesse del figlio dell’adozione del modello legale prioritario di affidamento. Il disinteresse mostrato dal genitore all’effettivo esercizio della responsabilità genitoriale, che può desumersi anche dal comportamento processuale dello stesso, per esempio dal fatto che sia rimasto contumace nel procedimento, è indicativo di una condizione di verosimile scarsa adeguatezza all’assunzione di un consapevole ruolo genitoriale. Ciò può giustificare una concentrazione della responsabilità genitoriale in capo ad un solo genitore, anche con riguardo alle scelte più importanti per il minore, quali la salute, educazione, istruzione, residenza abituale, dando luogo al cosiddetto affido superesclusivo che ben può essere disposto anche d’ufficio (Tribunale Milano sez. IX, 20/06/2018 n. 6910). La concentrazione della genitorialità e della responsabilità in capo ad uno dei genitori non rappresenta, ovviamente, un provvedimento che incide sulla titolarità in capo ad uno solo dei genitori della responsabilità genitoriale, modificandone in realtà solo l’esercizio: il genitore non affidatario ha, infatti, sempre il diritto ed il dovere di vigilare sulla salute, sulle condizioni di vita, sulla educazione e sulla istruzione del minore, potendo ricorrere al giudice in caso di assunte decisioni pregiudizievoli al suo interesse.
Autore: Avv. Massimiliano Romagnoli 15 apr, 2020
I dati ufficiali parlano di oltre 35.000 azioni legali, sia civili che penali, avviate ogni anno nei confronti dei medici e delle strutture sanitarie. Tre sono i maggiori filoni sui quali si basano le azioni, il primo è quello del presunto errore chirurgico, il secondo è quello del presunto errore diagnostico ed infine c’è il presunto errore terapeutico. Molto spesso il paziente procede direttamente con la denuncia/querela perché ciò comporta assenza di esborsi economici ed evita indagini particolari, lasciando che ad operare in tal senso sia la Procura della Repubblica. Però, circa l’80 % dei pazienti agisce anche con la richiesta stragiudiziale di risarcimento danni direttamente nei confronti del medico, il quale si trova nella necessità di approntare al meglio la propria difesa anche al fine di dissuadere il paziente dal procedere giudizialmente. Con la legge Gelli-Bianco, sarà più agevole organizzare la difesa del medico tenuto conto del fatto che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al medico ed agli altri esercenti la professione sanitaria, va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell’onere della prova (che graverà sul paziente) sia in tema di prescrizione (non più decennale, bensì quinquennale). Ulteriore elemento che può disincentivare le azioni risarcitorie nei confronti del medico è anche la previsione dell’art. 8 della legge sulla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie il quale prevede che: “chi intende esercitare un’azione innanzi al Giudice Civile relativa ad una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto, preliminarmente, a proporre ricorso ai sensi dell’art. 969 – bis c.p.c. dinanzi al Giudice competente”. Insomma, oggi l’esercente la professione sanitaria dispone di una normativa sicuramente non penalizzante e che gli consente di difendersi al meglio al fine di dimostrare la correttezza del proprio operato.
Autore: Avv. Annalisa Paci 15 apr, 2020
Il fondo di garanzia per le vittime della strada, disciplinato dagli artt. 283 e seguenti del Codice delle assicurazioni private, è stato istituito al fine di garantire un giusto risarcimento dei danni, causati a cose o a persone, in seguito a un incidente provocato da veicoli non coperti da polizza assicurativa oppure che non è stato possibile identificare. Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui il conducente, dopo l'incidente, riesca a darsi alla fuga senza consentire al danneggiato di annotarsi gli estremi della targa. Il Fondo di garanzia opera sul territorio nazionale attraverso delle Compagnie assicuratrici che gestiscono la procedura di risarcimento come se il mezzo non assicurato (oppure non identificato) fosse assicurato presso di loro. Il Fondo di garanzia per le vittime della strada interviene, in particolare, nelle ipotesi in cui l’incidente sia stato causato da un veicolo: 1. non identificato: in questo caso vengono risarciti solo i danni alla persona. Se il danno alla persona è grave il Fondo risarcirà anche i danni alle cose con importo superiore ad Euro 500 e per la parte eccedente i 500 Euro; 2. non assicurato: in questo caso vengono risarciti sia i danni alle cose che i danni alla persona; 3. assicurato presso una Compagnia che al momento del sinistro si trova in uno stato di liquidazione coatta (o che successivamente venga a trovarsi in questa condizione): in questo caso vengono risarciti sia i danni alle cose che i danni alla persona; 4. messo in circolazione contro la volontà del proprietario: in questo caso vengono risarciti i danni alla persona e alle cose subiti dai terzi trasportati o dalle persone trasportate contro la loro volontà oppure dalle persone che sono inconsapevoli della circolazione illegale del mezzo. La Compagnia designata, una volta liquidato il risarcimento, procede ad identificare il responsabile del sinistro e a richiedere a quest'ultimo il rimborso di quanto pagato al danneggiato. Se il danneggiante non procede spontaneamente al pagamento, la Compagnia designata può procedere nei suoi confronti per il recupero coattivo della somma.
Autore: Avv. Ezio Onori 15 apr, 2020
Il Decreto Legge n. 18 del 17/03/2020 c.d. “Cura Italia” intende affrontare le esigenze dei contribuenti in relazione all’emergenza epidemiologica in atto. Tra gli altri provvedimenti presenta una misura di sostegno al reddito dei lavoratori autonomi, co.co.co. e dei lavoratori iscritti alla gestione separata con partita IVA, nonché di alcune categorie di lavoratori dipendenti stagionali. Il sostegno al reddito lavoratori autonomi è stato fissato in 600 euro mensili e si potrà richiedere solo per il mese di marzo anche se presumibilmente la misura sarà ripetuta anche per il mese di aprile. A tutt'oggi siamo in attesa della pubblicazione della circolare INPS e dell’attivazione della procedura di richiesta telematica che dovrebbe essere attiva entro la fine di marzo 2020. Vediamo quindi nel dettaglio cosa prevede la misura. L'importo che verrà corrisposto sarà di 600,00 euro mensili, potrà essere richiesto direttamente all’INPS e, come detto, per il momento è previsto per il solo mese di marzo. Possono accedere al contributo : 1. i liberi professionisti con partita IVA (iscritti alla gestione separata INPS) e i lavoratori co.co.co non titolari di pensione; 2. i lavoratori autonomi, artigiani e commercianti iscritti alle gestioni speciali dell’Ago che sono stati costretti alla chiusura parziale o totale delle proprie attività, non titolari di pensione. 3. i lavoratori dipendenti stagionali del turismo e degli stabilimenti termali che hanno perso il lavoro; 4. i lavoratori del settore agricolo a tempo determinato, non titolari di pensione; 5. i lavoratori dello spettacolo ovvero che siano iscritti al Fondo pensioni dello spettacolo. Restano quindi esclusi dal presente contributo i liberi professionisti iscritti alle casse obbligatorie (commercialisti, consulenti del lavoro, architetti, ingegneri ecc.) che dovranno riferirsi alle singole casse di appartenenza. L'importo sarà erogato direttamente dall’INPS a coloro che ne hanno diritto, ma si dovrà presentare una apposita richiesta all’Istituto secondo le modalità non ancora pubblicate. L’Istituto successivamente verificherà i requisiti di chi ha presentato la domanda e successivamente verserà l’indennità. La domanda può essere inviata esclusivamente in via telematica e con accesso diretto dell’interessato, oppure tramite ausilio di un patronato. Infine, per chiarire l'ennesima fake news di questi giorni, preciso che non vi sarà un c.d. click day, con pagamento ad esaurimento delle risorse: saranno accolte e pagate tutte le domande in possesso dei requisiti.
Autore: Dott. Andrea Tulli 15 apr, 2020
Negli ultimi giorni si è assistito, purtroppo, ad un incremento esponenziale delle denunce ex art. 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità) dovuto alla mancata osservanza da parte di alcuni delle disposizioni restrittive, in materia di libera circolazione delle persone, decise dal Governo italiano per tentare di contenere la pandemia generata dal virus SARS-CoV2. Nello specifico l’Esecutivo attraverso l’emanazione del decreto - legge 23 febbraio 2020 n. 6 ha espressamente stabilito che coloro i quali non si atterranno alle misure di contenimento previste dal medesimo incorreranno nella commissione del reato previsto e punito dall’ art. 650 Codice penale. Tale fattispecie criminosa rientra nel novero dei reati contravvenzionali, ovvero di quei reati c.d. “minori” puniti dal Legislatore con la sanzione dell’arresto e/o dell’ammenda, e persegue la finalità di proteggere l’ordine pubblico, inteso come buon assetto e regolare andamento della convivenza civile contro l’inosservanza individuale dei provvedimenti legalmente emessi da un’Autorità pubblica. La norma, inoltre, ha natura residuale e sussidiaria in quanto può trovare effettiva applicazione solo qualora l’inosservanza del provvedimento dell’Autorità non sia già oggetto di specifica sanzione da parte di altre norme penali, processuali od amministrative ex art. 15 Codice penale. Orbene, dato l’elevato numero di denunce depositate presso le Procure della Repubblica e data l’esiguità della sanzione penale, che prevede fra l’altro nel caso di specie l’alternatività fra la sanzione coercitiva dell’arresto e quella pecuniaria dell’ammenda, la maggior parte delle denunce si tramuteranno in decreti penali di condanna, ove il GIP richiederà al trasgressore di pagare una determinata somma di denaro entro 15 giorni dalla notifica del provvedimento giudiziale, ovvero fare opposizione alla stessa ex art. 641 c.p.p.. Il consiglio giuridico che può essere dato in questo caso è quello di non pagare immediatamente l’ammenda, presentando piuttosto nei 15 giorni a disposizione presso l’Ufficio del GIP l’istanza di opposizione con pedissequa richiesta di oblazione o di patteggiamento (solo qualora la richiesta di oblazione venga rigettata). Difatti, pagando l’ammenda o non presentando opposizione alcuna al decreto penale nel termine sopradetto, il procedimento penale si chiude e la pena diviene definitiva, comportando che il soggetto risulterà a tutti gli effetti di legge condannato penalmente, con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano. Invece, tramite l’istituto dell’oblazione il trasgressore viene eventualmente ammesso dal Giudice a pagare una sanzione pecuniaria pari alla metà del massimo edittale (escluse le spese processuali) e, soprattutto, il reato risulterà immediatamente estinto non comparendo perciò nel Casellario giudiziale del trasgressore, evitando così ulteriori effetti indesiderati.
Autore: Avv. Annalisa Paci 15 apr, 2020
Il governo, attraverso l’ordinanza n. 658 del 29 marzo 2020 della Protezione Civile, ha messo a disposizione 400 milioni di euro da distribuire ai Comuni, per permettere loro di donare aiuti alimentari a persone e famiglie in difficoltà. I Comuni potranno elargire i 400 milioni per l’acquisto di buoni spesa utilizzabili per comprare generi alimentari o per distribuire direttamente generi alimentari e prodotti di prima necessità. Sulla base di quanto assegnato, nonché delle donazioni di cui all'articolo 66 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, ciascun comune è autorizzato all'acquisizione, in deroga al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, di buoni spesa utilizzabili per l'acquisto di generi alimentari presso gli esercizi commerciali contenuti nell'elenco pubblicato da ciascun comune nel proprio sito istituzionale e di generi alimentari o prodotti di prima necessità. Secondo quanto è stabilito nell’ordinanza, sarà l’ufficio dei servizi sociali di ogni Comune a individuare la platea dei beneficiari, in ogni caso, priorità verrà assegnata a chi non è già destinatario di un altro sostegno pubblico, come il reddito di cittadinanza. Nello schema dell’ordinanza di Protezione civile per l’operazione solidarietà alimentare si stabilisce che i 400 milioni verranno ripartiti per «una quota dell’80%, complessivi euro 320 milioni, in proporzione alla popolazione residente di ciascun Comune», mentre «il restante 20 per cento, ossia 80 milioni, in base alla distanza tra il valore del reddito pro capite di ciascun comune e il valore medio nazionale, ponderata per la rispettiva popolazione», sulla scorta dei dati riferiti all’anno di imposta 2017. In ogni caso il «contributo minimo spettante a ciascun Comune non può essere inferiore a 600 euro», caso che in Umbria si verifica soltanto nel comune più piccolo della regione, ossia Poggiodomo, che ha un centinaio di residenti. Dal capo opposto c’è Perugia con 876 mila euro, Terni per 653 mila, Foligno 350 mila, Città di Castello 235 mila e Spoleto 244 mila, tutti naturalmente vincolati alla solidarietà alimentare.
Autore: Avv. Massimiliano Romagnoli 15 apr, 2020
Il decreto “cura Italia” all’art. 56 prevede una serie di misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19 ed in particolare, tra le altre, al comma 2, lettera c, stabilisce la possibilità di sospendere, su richiesta dell’impresa, i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale sino al 30 settembre 2020. Peccato però che il comma 4 del medesimo art. 56 preveda testualmente che: “possono beneficiare delle misure di cui al comma 2 le Imprese le cui esposizioni debitorie non siano, alla data di pubblicazione del presente decreto, classificate come esposizioni creditizie deteriorate”. Le esposizioni creditizie deteriorate sono quei crediti degli istituti di credito nei confronti delle imprese che abbiano dimostrato di non essere in grado di adempiere puntualmente alle obbligazioni contrattuali. Si definiscono deteriorate le esposizioni che rientrano nella categoria “nonperforming”, che a seconda della gravità vengono inserite in tre sottocategorie: sofferenze – inadempienze probabili – esposizioni scadute e/o sconfinamenti. In buona sostanza, quindi, quelle imprese che alla data di pubblicazione del decreto “cura Italia” avevano delle esposizioni che la banca aveva classificato come deteriorate, si vedranno negare, molto probabilmente, la sospensione dei mutui e dei finanziamenti. Sinceramente non comprendo le ragioni che abbiano indotto il Governo ad una simile scelta, ma le conseguenze mi sembrano abbastanza evidenti e drammatiche. Se un’impresa era già in difficoltà (come una larga parte delle micro, piccole e medie imprese italiane) e viene pure esclusa dalla sospensione delle esposizioni debitorie con gli istituti di credito, come potrà affrontare la terribile crisi economica del momento? A mio parere, le imprese dovrebbero comunque richiedere formalmente e con le giuste motivazioni la sospensione di mutui e finanziamenti e, in caso di risposta negativa, contestare alla banca la decisione e l’inserimento del proprio debito nella categoria “nonperforming”.
Autore: Avv. Paola Marchionni 15 apr, 2020
In questi giorni, in seguito alle misure assunte per contrastare il Coronavirus, assistiamo sempre più frequentemente alla richiesta di riduzione del canone di affitto da parte dei conduttori di immobili ad uso diverso da abitativo e dunque ad un aumento del rischio di “inadempimento contrattuale” da parte di coloro che hanno assunto, in buona fede ed in tempi non sospetti, obbligazioni commerciali. Ma quali strade possono percorrere i conduttori che si trovino in tale situazione di difficoltà? Le vie da seguire possono essere diverse. In realtà, appare davvero difficile sostenere il diritto del conduttore ad una riduzione automatica del canone! Potrà, certamente, chiedere, per le vie ordinarie, una diminuzione del canone per il periodo di crisi, eventualmente da concordare in via amichevole con il proprietario. In mancanza di un accordo, rimarrà però solo la via giudiziale sostenendo una delle seguenti ipotesi: 1.la Legge sulle Locazioni del ’78, prevede che, per gravi motivi, il conduttore possa recedere dal contratto, con preavviso di 6 mesi. Ciò avrebbe però come conseguenza la cessazione dell’attività quando, invece, magari, la crisi da Coronavirus potrebbe anche concludersi nell’arco di qualche settimana, e, comunque il canone andrebbe pagato per ulteriori sei mesi; 2. “impossibilità parziale sopravvenuta”, prevede la possibilità della riduzione del canone presupponendo comunque anche l’impossibilità parziale della prestazione del locatore e cioè la violazione da parte dello stesso proprietario di consegnare e mantenere il bene in condizione da essere utilizzato secondo l’uso contrattualmente stabilito; 3. “eccessiva onerosità sopravvenuta”, comporta la pretesa di risoluzione del contratto da parte del conduttore, in modo definitivo, evitando però il preavviso di 6 mesi per gravi motivi; 4. “impossibilità temporanea di adempiere alla propria obbligazione” e quindi al pagamento del canone; si tratta solo di una posticipazione dell’obbligo di pagamento e non di una sua esclusione; 5. “impossibilità parziale di rendere la prestazione dovuta”, cioè di pagare il canone, quando la stessa sia divenuta impossibile solo in parte; in questo caso il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
Autore: A cura dell'Avv. Ezio Onori 15 apr, 2020
Il COVID-19 ha avuto gravi effetti sul mondo del lavoro privato a causa del blocco di molte attività commerciali e industriali. Nell’ottica di salvaguardare tutti i posti di lavoro il Governo, oltre alla previsione di una C.I.G. straordinaria, ha stabilito il c.d. blocco dei licenziamenti. L’art. 46 del decreto Cura Italia prevede che dal 17 marzo 2020 al 16 maggio 2020, siano bloccate le procedure di riduzione collettiva del personale, nonché i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966. In effetti la chiusura obbligatoria di molte attività avrebbe potuto essere la motivazione per un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Tale disposizione non impedisce certamente tutti i tipi licenziamento. Infatti la legge n. 604/1966 richiamata, in materia di giustificato motivo oggettivo, si riferisce solamente a ragioni inerenti l’attività produttiva e ragioni inerenti il regolare funzionamento dell’attività. Sono escluse dal blocco e sono quindi possibili le seguenti ipotesi di licenziamento: 1. i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo; 2. i licenziamenti per raggiungimento del limite di età per la fruizione della pensione di vecchiaia e per la quota 100; 3. i licenziamenti dovuti al superamento del periodo di comporto e per inidoneità; 4. i licenziamenti dei dirigenti; 5. i licenziamenti dei lavoratori domestici; 6. la risoluzione del rapporto di apprendistato. Come sinteticamente abbiamo visto, anche se mediaticamente è passato il messaggio del c.d. blocco dei licenziamenti, in questo periodo sono proibiti solamente i licenziamenti per ragioni inerenti l’attività produttiva e il regolare funzionamento della stessa. Tutti gli altri sono, come sempre, consentiti.
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